MILANO. Una conversazione tra Vittorio Schieroni e Mimmo Paladino (Paduli, 1948), artista italiano apprezzato a livello internazionale ed esponente di spicco della Transavanguardia: la sua mostra personale alla Galleria Christian Stein, aperta al pubblico fino al 13 maggio 2023 in Corso Monforte 23 a Milano, si rivela lo spunto per approfondire temi e momenti importanti che hanno caratterizzato il percorso artistico del Maestro.
Nella foto: Mimmo Paladino davanti all'opera "Treno", 2022 - Courtesy Artista e Galleria Christian Stein, Milano - Foto Leandro Ianniello
Intervista di Vittorio Schieroni
Direttore ARTSTART
Vittorio Schieroni: Maestro, dopo quattro anni torna a esporre alla Galleria Christian Stein di Milano: vorrei iniziare questa intervista accennando proprio a questa mostra e alle opere che sono state selezionate per farne parte. In particolare, il lavoro del 2022 intitolato "Treno" ci appare come un grande fregio orizzontale, dove sono presenti sagome nere rigidamente composte; attorno a esse troviamo teste e altri frammenti umani, grandi macchie circolari, elementi geometrici. Si tratta di un dipinto di forte impatto, che non può lasciare indifferenti. Qual è l'origine di questo lavoro?
Mimmo Paladino: Alcune opere viaggiano singolarmente, mentre altre, come queste, hanno il carattere di una famiglia di quadri e sono dipinte in termini di coralità. L'origine di "Treno" può darsi sia dovuta alla dimensione, avendo un'altezza di due metri e lunghezza sei, è quindi molto rettilinea, molto orizzontale. Magari il titolo stesso può essere legato a questa forma: il treno è così. C'è anche un grande lavoro di scultura che si chiama "Treno", di ben quaranta metri. Il treno trasporta cose e persone: l'idea è che questa forma in pittura, come fu per la scultura, sia fatta proprio di frammenti, di figure, di forme, come potrebbe essere un oggetto che viaggia, una cosa che fa pensare a uno spostamento. In realtà, in questa mostra ci sono dei titoli che io quasi mai do, però hanno dei riferimenti a delle cose che avevo fatto e stavo facendo. Il "Treno" si riferisce non solo alla forma, ma anche a questa grande scultura fatta appunto di frammenti. Sul dipinto ci sono queste sagome scure, questi elementi anche quotidiani, ci sono queste silhouette che servono ai sarti per fabbricare i vestiti. Ѐ ciò che fa un treno: porta delle valigie, delle scatole, degli oggetti.
I tre grandi quadri si chiamano invece "Dissolvenze": un po' è dovuto al fatto che il colore - nero in quel caso - si spande nella tela come se si dissolvesse e un po' perché stavo cominciando a girare il mio ultimo film. Mi piace girare film, ne ho fatto uno già alcuni anni fa, ora uscirà l'altro. La dissolvenza è un tipico termine cinematografico, serve appunto a passare da un'immagine all'altra, si usa la dissolvenza perché si sfuma su un'immagine per passare a un'altra. Hanno sempre questo carattere non evocativo, ma spesso descrittivo di un significato che poi serve solo a me.
Il suo immaginario è popolato di figure che sembrano riemergere da un passato ancestrale, talvolta ci appaiono ieratiche e solenni, in altre composizioni sembrano proporsi in una dimensione più intima e discreta, legata a una traccia lasciata o a un passaggio impresso. Qual è il suo rapporto con il passato e come esso si inserisce nell'arte da lei prodotta?
Ritengo il passato un grande armadio dove si può prendere delle cose, che magari si accumulano e si conoscono, per il pretesto di costruire un'opera. Immagini come se noi usassimo un alfabeto astratto. Ѐ chiaro che se c'è una testa si è portati a dare tutti i valori simbolici a questa immagine, cosa che a me non piace dare: la testa è uno dei frammenti che la storia ci dà, che si accumulano e possono essere di ordine architettonico, piuttosto che scultoreo... Mi piace servirmi di questo deposito di cose chiuse in un'area a me familiare, che è tutta la parte di mediterraneità, influenzata dalle culture arabe, dalle culture bizantine... Ma è come se fossero dei continui ready-made mnemonici intorno ai quali si costruisce un'opera, che sia un dipinto o una scultura. La forma è una sorta di alfabeto, una wunderkammer di frammenti dei quali ci si può servire.
Nella foto: Mimmo Paladino, "Dissolvenze", 2021 - Courtesy Artista e Galleria Christian Stein, Milano - Foto Agostino Osio
"Ritengo il passato un grande armadio dove si può prendere delle cose, che magari si accumulano e si conoscono, per il pretesto di costruire un'opera. Immagini come se noi usassimo un alfabeto astratto".
L'arte italiana e le sue infinite manifestazioni nel corso dei secoli, dalle più primitive a quelle legate al mondo classico, dalle vette rinascimentali fino alle ricerche della contemporaneità: in che modo tale cammino ha influito sulla sua storia di artista?
Io ho fatto quasi un percorso a ritroso. Agli albori del mio fare pittura, quindi da giovanissimo, fu addirittura la Pop Art americana, che vidi alla Biennale nel '64; stranamente incontrai questa esperienza d'avanguardia, di un mondo che era molto distante da noi. Però poi si va a ritroso, a riguardare all'arte bizantina, a Giotto, Masaccio e anche all'arte primitiva italiana, quella più arcaica... il Guerriero di Capestrano, la scultura nuragica. Sono quelle forme dove l'uomo comincia a fabbricare delle cose che, al di là della forma probabilmente di tipo simbolico, hanno una formalità estetica, che ha qualcosa di più, anche magari inconsapevole. E quindi le ritengo quel famoso armadio al quale, involontariamente o volontariamente, a volte si va a prendere; poi diventa alla fine il mio alfabeto. Non credo che fosse tanto diverso, ad esempio, dall'alfabeto di Lucio Fontana, attraverso i tagli, i pezzi di vetro anche lui ha creato il suo alfabeto che poteva essere differente, ma anche ripetitivo.
Ha esordito a ridosso delle avanguardie degli anni Sessanta - Settanta: un percorso artistico lungo e di successo che ha avuto un momento particolarmente fecondo con la Transavanguardia. Come valuta, a distanza di anni, l'esperienza di questo movimento apprezzato a livello internazionale?
La Transavanguardia in realtà non era un movimento, perché non c'era nessuna volontà teorica. Anzi, credo che ognuno operasse per conto suo partendo da individuali interessi. C'era un momento concettualistico planetario, soprattutto sulle sponde americane, del quale si aveva notizia, si capiva che c'era questo clima di azzeramento intorno all'arte dopo la Pop Art, dopo l'Action Painting; era un mondo americano, ma che aveva a che fare moltissimo anche con l'arte europea. Poi in Italia alcuni pittori fecero cose che coincidevano con una forma quasi comune di interesse e di provocazione, di scoperta. Il dire basta a un divieto teorico di utilizzare i mezzi, anche quelli più tradizionali: la pittura, il mosaico e quant'altro. Contemporaneamente rimanevano l'installazione, la performance, cose che appartenevano al mondo precedente degli anni Settanta.
"Nulla è vietato": se poteva esserci un concetto comune era che si potesse riutilizzare la pittura, senza che fossero spariti il video o la forma nello spazio. Io, particolarmente, sono sempre stato interessato alla forma nello spazio e questa idea certamente si aggancia a ciò che è stato nella fine degli anni Sessanta e negli anni Settanta, i "cavalli" di Kounellis piuttosto che il "mare" di Pascali. Almeno da parte mia - per gli altri non posso dirlo, perché non era un gruppo - non c'era nessuna idea di rompere con la tradizione che mi precedeva. Inevitabilmente un quadro appeso a un muro era rompere con la tradizione, ma era sicuramente anche superare un concettualismo ormai azzerato e accademico.
Nella foto: Mimmo Paladino, "Senza Titolo", 2021 - Courtesy Artista e Galleria Christian Stein, Milano - Foto Agostino Osio
"La Transavanguardia in realtà non era un movimento, perché non c'era nessuna volontà teorica. Anzi, credo che ognuno operasse per conto suo partendo da individuali interessi. C'era un momento concettualistico planetario, soprattutto sulle sponde americane, del quale si aveva notizia, si capiva che c'era questo clima di azzeramento intorno all'arte dopo la Pop Art, dopo l'Action Painting; era un mondo americano, ma che aveva a che fare moltissimo anche con l'arte europea".
Per concludere, vorrei chiederle quali progetti vorrebbe ancora realizzare e in quale direzione si sta muovendo la sua arte, guardando al futuro.
Il mio sguardo è sempre verso il futuro, il futuro immediato e quello più lontano, ma è sempre a largo raggio. Quindi, se l'ultimo film mi ha consentito di tornare alla macchina da presa e fare cinema, e da questo film sono anche venute fuori anche nuove opere, quelle esposte da Christian Stein dal titolo "Dissolvenze", c'è sempre questo sguardo aperto verso più metodi. Può essere più la scultura, disegnare, o può essere molto coinvolgente, anche per ragioni pratiche, fare un film. Non solo penso al prossimo film, ma certamente non sto smettendo né di dipingere né di disegnare. Non c'è mai una progettualità, tranne per quello che va inevitabilmente progettato.
L'intervista è stata rilasciata da Mimmo Paladino a Vittorio Schieroni nel febbraio del 2023.
Si ringrazia la Galleria Christian Stein di Milano per la collaborazione e per aver fornito le immagini che accompagnano il testo.
Per informazioni sulla mostra "PALADINO" presso la Galleria Christian Stein: www.galleriachristianstein.com.
Nella foto: Veduta della mostra "PALADINO" alla Galleria Christian Stein di Milano - "Treno", 2022; "Dissolvenze", 2021; "Dissolvenze", 2021; "Dissolvenze", 2021 - Courtesy Artista e Galleria Christian Stein, Milano - Foto Agostino Osio
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