MILANO. Nei tempi difficili dell'emergenza sanitaria, quando la sofferenza, la preoccupazione e l'isolamento diventano realtà che accomunano una città, un popolo, un intero pianeta, è necessario mantenere lo sguardo puntato verso la speranza: di farcela, di stare di nuovo insieme, di ritrovare una normalità che consideravamo un dato di fatto. "Tornare" è il racconto breve di Vittorio Schieroni dedicato a tutti noi che stiamo vivendo giorni tormentati, con l'auspicio di imparare ad adottare un approccio nuovo nel vivere la vita e i rapporti con gli altri.
di Vittorio Schieroni
Direttore ARTSTART
Ogni giorno sono attraversata dallo scorrere della gente, energia che fluisce dentro di me come sangue, linfa vitale. Persone tutte diverse ma accomunate dalla presenza, dal contatto, dallo scambio nei luoghi in cui vivono. Sono giovani e vecchi, lavoratori e studenti, c'è chi è qui da sempre e chi vuole andarsene, chi è venuto per necessità, perché desidera un futuro migliore, sono bambini che sanno ancora troppo poco della vita. Li vedo passare in rapida successione, mentre camminano per le mie strade e si trascinano dietro le speranze e i sogni, la gioia, mentre portano a passeggio le incertezze e il dolore, talvolta una profonda solitudine. Hanno destini assai differenti e storie da raccontare quante ne vuoi. Io li osservo tutti, perché ognuno è parte di me, perché l'unione delle loro vicende compone la mia essenza. Questa città dove ogni cosa è fermento è lo spaccato delle contraddizioni di una società che cambia incessantemente, ma che allo stesso tempo rimane ancorata alle tradizioni e al suo passato. Questi individui nascono, vivono, invecchiano all'ombra dei miei viali alberati e all'interno dei miei palazzi grigi. Si innamorano, crescono e lavorano nell'intimità promiscua delle case, sul freddo asfalto dei miei marciapiedi. Tutti si affrettano da una parte all'altra senza sosta e mi percorrono da cima a fondo per portare avanti un compito che forse nemmeno loro stessi conoscono e comprendono.
Ma c'è un particolare momento, tutti i giorni, in cui la vita è attutita e proprio per questo ridotta all'essenziale. Per una frazione di tempo sono visibile nella mia semplicità, spogliata come sono della traccia dell'uomo. Mi mostro più vera e naturale, in attesa. Lo sa chiunque si sia trovato a camminare per le mie vie in quell'ora ibrida che si distende tra le quattro e le cinque del mattino, quando gli ultimi nottambuli sono ormai rincasati e non è ancora iniziato il grande spettacolo del lavoro. La luce fa fatica ad arrivare e l'aria non è satura di nevrosi e smog, è carica di aspettative per la giornata a venire. Ancora poche le automobili in circolazione, prima che lunghe code si formino improvvisamente. Qualche poliziotto o infermiere, edicole e bar con una luce accesa, netturbini indaffarati a rimuovere lo sporco accumulatosi durante la notte. In quest'ora di raccordo so dare il meglio di me e mi offro spontaneamente agli occhi di chi mi osserva, per la prima volta o tutti i giorni, per una mera casualità oppure in cerca di qualcosa. Sono più autentica perché mi mostro indifesa, concreta e reale, come una donna libera, fiera che non vuole mascherare il proprio corpo con il travestimento dei vestiti.
Durante questi minuti di relativa calma puoi far scorrere lo sguardo su di me senza essere disturbato da distrazioni e miraggi. Puoi studiare i palazzi e decifrare sui muri le scritte e i disegni che li marcano come sfregi, scorgere le tracce scure dell'inquinamento, sei in grado di osservare le saracinesche dei negozi, come una lunga fila di denti tutti diversi, scoprire le facciate delle chiese leggendo i segni dei secoli che le ricoprono come rughe. Puoi contare le persone che dormono sui marciapiedi sotto il precario riparo di una coperta e l'illusione di un sonno che fa dimenticare. Puoi fermarti davanti agli edifici più moderni e imponenti, solo a prima vista anonimi specchi, per scovare in essi particolari che mai prima di quel momento hai avuto il tempo di notare. Interrogare le statue nelle piazze, che raccontano altre storie, con vittorie e tragedie che ormai faticano a dirci qualcosa. È un'ora magica in cui io, Milano, posso offrire un volto inconsueto e spoglio, e per questo motivo più ricco di bellezza. Sono i soli istanti in cui concedo a me stessa un po' di riposo prima di accogliere nuovamente la fiamma della vita che si rinnova. Sessanta minuti scarsi prima che il battito cominci di nuovo a riprendere forza e il sangue a circolare con prepotenza. Attimi preziosi.
"Puoi intuire la sua esistenza da piccoli dettagli: una bandiera, un canto, un applauso. Le strade non sono mai vuote se ci sono persone dietro le finestre. Questa è speranza, resilienza, fede".
Ma sono in pochi ora a percorre le mie strade, anche di giorno nelle ore di punta: come già in passato c'è qualcosa di invisibile che sparge sofferenza e paura. I negozi sono chiusi, le serrande abbassate, i rumori che vengono da chissà dove hanno una sfumatura sinistra, un suono prolungato e acido squarcia il silenzio come un grido. Dov'è finita quell'energia capace di incantare e che spinge a non fermarsi mai? Non mi ritrovo in ciò che sono diventata, non mi riconosco più. Quella vecchia quotidianità sembra un ricordo, è lontana, quasi un'aspirazione. Tutto è sospeso, le mie vie e le mie piazze sono mute, come in quell'ora magica, però senza la magia.
Eppure, se osservi bene, puoi capire che il palpito si cela alla vista, è solo nascosto, ma c'è. Non è facile percepirlo, perché è occultato dietro i vetri e i muri che separano la mia gente, ma ne puoi scorgere i segni. Puoi intuire la sua esistenza da piccoli dettagli: una bandiera, un canto, un applauso. Le strade non sono mai vuote se ci sono persone dietro le finestre. Questa è speranza, resilienza, fede. Tornerò presto, viva come sempre, tornerà l'Italia, duramente ferita, dal Nord al Sud, uniti in un'unica grande sfida globale, perché il dolore ha un solo volto e l'amore non si ferma a un confine tracciato dall'uomo. Lo faremo con occhi diversi, quelli di chi ha imparato qualcosa. Torneremo.
L'immagine che accompagna il testo è stata scattata da Vittorio Schieroni sul Naviglio Grande di Milano nel febbraio 2020.
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