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Un Magnifico Paese - Intervista al Presidente del FAI

MILANO. Vittorio Schieroni intervista Marco Magnifico, Presidente del FAI - Fondo per l'Ambiente Italiano, fondazione italiana senza scopo di lucro che, grazie al sostegno di privati cittadini, aziende e Istituzioni, dal 1975 si impegna nella salvaguardia del patrimonio storico, artistico e paesaggistico italiano. Oltre 214.000 membri, 11.000 volontari, decine di luoghi regolarmente aperti al pubblico ed eventi che ogni anno coinvolgono migliaia di persone: questi i punti di forza di una realtà che è diventata nel corso del tempo un attore di primaria importanza nella tutela e valorizzazione dei beni culturali.


Nella foto: Marco Magnifico - Foto di Matteo Cupella


Intervista di Vittorio Schieroni

Direttore ARTSTART


Vittorio Schieroni: Da tesserato FAI non posso che essere lieto per questa intervista, per la quale la ringrazio. Vorrei iniziare dal suo lungo percorso all'interno della Fondazione, fino alla Presidenza, nel dicembre del 2021. Cosa è maggiormente cambiato rispetto a quando questa avventura ha avuto il suo inizio?


Marco Magnifico: All'inizio era una scommessa. Io lavoravo da Sotheby's, la casa d'aste inglese, come esperto di dipinti antichi. Quando ho detto a mio padre che volevo cambiare lavoro, era contrario, perché secondo lui era una cosa che poteva non avere un futuro, un po' un giocattolo di Giulia Maria Crespi e Renato Bazzoni, in effetti c'era un ragioniere che veniva due pomeriggi alla settimana a fare i conti, c'erano solo due beni, il Castello di Avio e il Monastero di Torba e soprattutto c'era la Signora Crespi che ripagava le perdite. Però io ci ho creduto e ho fatto molto bene, pur con tutta la gratitudine che devo a mio padre, ho fatto bene a non dargli ascolto: è anche un invito ai figli a ragionare con la loro testa, pur ascoltando i propri genitori. Era una scommessa che non aveva certo tutte le caratteristiche per essere vinta. Quando se ne parlava, tutti dicevano che era un modello inglese, una cultura inglese che da noi non esiste, che nessuno ci avrebbe mai regalato niente. In effetti, il Monastero di Torba era stato regalato dalla Signora Crespi, che l'aveva comprato e regalato al FAI, mentre la Signora Crespi aveva invitato la Contessa Castelbarco a donare al FAI il Castello di Avio. Poi sono arrivati San Fruttuoso, il Castello della Manta, poi le cose hanno cominciato ad andare avanti.

La differenza con oggi è che un tempo non c'era una struttura amministrativa e gestionale seria, la Crespi non aveva un'esperienza gestionale, mentre Bazzoni era un architetto, anche lui senza un'esperienza gestionale, quindi era una banda - la chiamavamo la "Banda Bazzoni" - che lavorava più per entusiasmo, per fede, con immaginazione, serietà, illusione, una buonissima dose di illusione di potercela fare, che poi è stata premiata, però senza alcuna base gestionale. I conti si facevano in qualche modo, con la matita e la gomma. Oggi invece il FAI è una vera impresa, un'impresa a tutti gli effetti che ha dimostrato che la scommessa poteva essere vinta, dove noi siamo sia imprenditori che uomini di cultura. In un certo senso il FAI ha sdoppiato la sua anima: io sono sempre stato l'anima culturale della Fondazione, ma da una quindicina d'anni ci sono dei direttori generali che fanno il loro lavoro. La nostra è, a tutti gli effetti, un'azienda. Oggi è strutturata al punto che il FAI ormai da due o tre anni chiude con un avanzo di gestione; non posso dire un attivo, perché non è un attivo, sono avanzi positivi di gestione che poi vengono tutti investiti naturalmente in restauri. Per quarant'anni il FAI ogni anno perdeva, poi ha cominciato ad andare in pareggio e ora diciamo che "guadagna", dimostrando che a fianco di una politica culturale molto accorta e decisa non può non esserci una politica gestionale, amministrativa e di controllo molto attiva, efficiente e aggiornata. Sono in un certo senso due realtà in una.


Decine di luoghi di proprietà del FAI ricevuti in donazione, regolarmente aperti al pubblico. Quali caratteristiche deve avere un bene per poter accedere alla tutela del FAI?


Deve avere un peso specifico culturale abbastanza unico. Il che non vuol dire che debba essere grande e importante: può essere il piccolo negozio di barbiere art déco in un carrugio di Genova, può essere l'edicola neogotica nella Piazza Canossa di Mantova, può essere naturalmente il Castello di Masino, che è una vera e propria reggia. Bisogna che il bene abbia delle caratteristiche culturali che lo rendano identitario per una collettività, piccola, media o grande. Ci si deve specchiare e riconoscere: in ogni bene del FAI si deve riconoscere una traccia dello stile, della grandezza, della cultura, ma una traccia molto sensibile. Di belle case in Italia ce ne sono mille, ma non basta essere una bella casa, bisogna avere una storia da raccontare, avere dei caratteri di particolarità. Questa è la prima cosa: il valore culturale e identitario per una collettività. Secondo, bisogna che il progetto di gestione si avvicini il più possibile al pareggio, oppure, se è un bene di straordinaria importanza, la Fondazione può anche decidere coscientemente di accettare un bene che non arriverà mai al pareggio di gestione, però bisogna poterselo permettere. Oggi la Fondazione non accetta quasi più delle donazioni senza una dote. Il Memoriale Brion di Altivole, uno dei massimi capolavori dell'architettura italiana del XX secolo, l'opera più importante di Carlo Scarpa, che ci è stato regalato dalla famiglia Brion, non l'avremmo mai accettato senza una dote di qualche milione che Ennio Brion ha regalato insieme alla proprietà. Ogni bene deve dare delle garanzie di arrivare perlomeno al pareggio di gestione, quindi se non lo fa con i biglietti d'ingresso e con le attività collaterali, bisogna che ci sia un capitale che generi una rendita che serva alla perfetta manutenzione del bene. Quindi, le due cose: il valore culturale e la possibilità di una gestione economicamente sostenibile.


Quali sono, a suo parere, i maggiori benefici che il FAI ha portato al nostro Paese nel corso degli anni?


Certamente le oltre venti, quasi trenta, edizioni delle Giornate FAI di Primavera e d'Autunno hanno rinfocolato la curiosità degli italiani verso monumenti normalmente chiusi, quindi verso la tradizione, la cultura, le testimonianze della nostra storia. Il lavoro che le nostre migliaia e migliaia di volontari hanno fatto in questi anni nel riscoprire, nel raccontare con entusiasmo, verve e passione il patrimonio ha certamente aiutato a ricollegare gli italiani alla loro storia attraverso la frequentazione delle tracce concrete più importanti: le chiese, i palazzi, eccetera. Ѐ vero che la funzione principale del FAI è quella di una fondazione, cioè tenere bene quei pezzi d'Italia che vengono donati perché vengano restaurati e aperti al pubblico. Il FAI è una fondazione, è i suoi beni: il nostro lavoro principale è quello di restaurare, mantenere perfettamente, aprire e raccontare al pubblico i beni che ci vengono regalati. Ma forse l'attività più eclatante è stata proprio quella di far riappassionare gli italiani, che erano abituati a un rapporto con il patrimonio artistico, storico e culturale un po' freddo, limitato ai soli musei. Ѐ chiaro che i musei abbiano le funzioni fondamentali di tutela, conoscenza ed educazione, ma è difficile che un museo sia gestito in modo da trasmettere una vera emozione. I nostri beni sono invece delle case, non sono dei musei: sono tenuti come musei, ma sono delle case dove la gente si deve sentire accolta e ospite. Io credo che questo modo di raccontare e che questa funzione educativa e appassionante siano forse la cosa più importante che il FAI abbia fatto in questi ultimi cinquant'anni.


L'Italia è straordinariamente ricca di storia, cultura, tradizioni, beni artistici e naturali: un patrimonio unico al mondo. Quali sono, secondo lei, i progetti che si dovrebbe mettere in campo per risolvere le criticità che caratterizzano il nostro Paese?


Credo che la prima cosa sia quella che facciamo noi, ossia rendere responsabili le singole collettività nei confronti della propria storia e quindi dei beni pubblici che esistono in ogni territorio comunale. Bisogna che cambi la mentalità secondo la quale sia lo Stato a doversi occupare dei beni che non sono miei, perché non è vero che non siano miei, ma sono anche miei. La chiesa del mio paese è anche mia, il palazzo comunale del mio paese è anche mio, il museo del mio paese è anche mio, quindi dal momento in cui c'è la presa di coscienza che queste cose sono anche proprie è difficile che la gente tolleri che vengano abbandonate. Per esempio, la grande iniziativa de I Luoghi del Cuore del FAI, serve proprio a far capire alla gente che se tu vuoi bene a un posto puoi fare qualcosa per salvarlo. Direi quindi l'educazione della collettività non solo a riconoscere l'importanza di un monumento, ma al proprio ruolo di tutori. I primi tutori siamo noi, i cittadini, poi ci sono gli strumenti che lo Stato mette a disposizione del patrimonio, ad esempio le Soprintendenze, che non sono altro da noi, sono strutture che lavorano per noi.

Questa è la cosa più importante… la seconda è una struttura ministeriale che funzioni. Noi abbiamo una struttura di tutela formidabile, perlomeno l'avevamo, una rete di Soprintendenze che tutto il mondo ci invidiava e che purtroppo negli anni ha avuto pochi concorsi, pochi fondi, poco aggiornamento. Ѐ chiaro che il Ministero della Cultura dovrebbe essere - come aveva detto Franceschini e come ora anche Sangiuliano - uno dei ministeri più importanti del nostro Paese. Oggi però non è così, perché le Soprintendenze territoriali vivono a corto di mezzi, di personale, di tecnologia, anche di professionalità.

Poi, dato che funzionano, ci potrebbero essere delle misure fiscali per facilitare il concorso anche economico dei cittadini. L'Art bonus è un'ottima misura, c'è una quantità di monumenti che vengono oggi restaurati grazie all'Art bonus. Ѐ una forma di incentivazione molto importante la partecipazione attiva dei cittadini, sempre nell'ottica che il patrimonio è dei cittadini, è nostro a casa nostra. Perché, cosa vuole, è un patrimonio talmente smisurato, infinito, diffuso, che non ci potrà mai essere un'altra forza come i cittadini dei nostri 7.000 comuni che si fanno tutori dei propri beni.


Per concludere, può anticipare ai lettori di ARTSTART alcune iniziative di particolare rilevanza che il FAI sta realizzando o che ha in programma per il futuro?


Le iniziative più importanti del FAI sono i restauri dei beni che abbiamo in proprietà, abbiamo una quantità di cantieri al lavoro in questo periodo che fa paura. Il nostro modo di parlare è attraverso il lavoro concreto che facciamo sui monumenti. Non le posso rivelare i nuovi beni che sono arrivati in donazione in questi giorni, perché li annunceremo a breve in una conferenza stampa. A luglio abbiamo organizzato una conferenza stampa annunciando la nuova proprietà del Convento di San Bernardino di Ivrea: Camillo Olivetti, papà di Adriano, abitava in questo monastero francescano del Quattrocento che è il centro di tutte le fabbriche che poi furono costruite attorno, con architetti come Ignazio Gardella, Figini e Pollini, eccetera. Le fabbriche di Ivrea sono diventate Patrimonio UNESCO e il convento, che è proprio il centro, era la casa della famiglia Olivetti, e la famiglia e TIM hanno donato al FAI tutto il compendio, con la chiesa, che conserva degli affreschi straordinariamente importanti di Giovanni Martino Spanzotti. Nel convento, che al momento è vuoto, racconteremo la storia di Adriano Olivetti, uno dei profeti dell'Italia industriale. Si tratta di un restauro molto consistente da 9 milioni di euro. Ci siamo guadagnati 2 milioni di euro di fondi del PNRR per il restauro del meraviglioso giardino di Villa Rezzola a Lerici, forse uno dei più bei giardini inglesi dell'Ottocento che ci sono in Liguria.

E poi, sa, ormai i beni del FAI sono più di sessanta e non c'è nessun bene dove si possa dire che abbiamo finito i restauri. Un bene come Villa Necchi Campiglio a Milano… soltanto la tempesta di questa estate ha rovesciato un immenso platano che ha sfondato il tetto della portineria. La vera scommessa non è tanto acquisire o restaurare i beni, ma avere una gestione che li mantenga in perfetta efficienza e fare in modo che non vengano frequentati da troppa gente. Per Villa del Balbianello sul Lago di Como, ad esempio, che forse è il bene più frequentato del FAI, da agosto abbiamo reso la prenotazione obbligatoria e ridotto del 30% gli ingressi possibili; ogni giorno dobbiamo lasciare fuori 300 o 400 persone, perché troppa gente rovina un monumento e soprattutto non potremmo nemmeno svolgere bene il nostro lavoro nei confronti dei visitatori… se c'è troppa gente si perde l'atmosfera. La manutenzione e lo stile con cui i visitatori vengono accolti sono il fiore all'occhiello del FAI e devono continuare a esserlo: è importante il tipo di racconto che si fa ai visitatori, perché da un lato ne abbiano un'esperienza emotiva gradevole, dall'altro escano arricchiti nei confronti della propria storia, della storia del proprio Paese.


L'intervista di Vittorio Schieroni a Marco Magnifico è stata realizzata nel mese di settembre 2023.

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