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Il mercato dell'arte in trasformazione - Pietro Ripa

MILANO. Cosa sta succedendo al mercato dell'arte ai tempi dell'emergenza sanitaria? Quali trasformazioni sono in atto e dove ci stiamo dirigendo? Proviamo a fare il punto della situazione con un professionista del settore: Pietro Ripa, Private Banker Fideuram. 



di Pietro Ripa

Private Banker

Fideuram


Lo tsunami del Covid-19 si è abbattuto senza tregua anche sul mercato dell'arte, provocando una serie di domande, tra gli operatori del settore o tra i semplici appassionati, sulle previsioni future e sulle modalità di resistenza e di ripartenza del mercato stesso.

Cosa il mercato dell'arte diventerà, quando potremo tornare alla piena normalità, o addirittura ai livelli pre crisi e come il mercato si sarà nel frattempo trasformato, sono tra i quesiti più sentiti e a cui, a mio avviso, non esiste una risposta unica ed intelligibile: sono ancora troppe le dinamiche in atto e vista la tipologia unica di pandemia che ci ha colpito, che impatta fortemente i rapporti sociali, diverse sono state le reazioni (o per lo meno i tentativi), da parte degli operatori, per limitare i danni.

Facciamo un passo indietro per capire meglio lo stato di salute del mercato prima di essere impattato dal Covid-19. Già l'anno 2019 si era contraddistinto per alcuni tangibili segnali di rallentamento: nel mercato delle aste si era palesata una ridotta disponibilità di opere top quality e una contestuale cautela dei collezionisti nelle fasi d'acquisto. Il combinato di questi due elementi aveva già determinato un rallentamento nei fatturati dell'arte figurativa (segmento che oggi pesa circa 3/4 dell'intero mercato delle aste), ma anche del mercato degli altri passion assets (gioielli & orologi, fotografia, design, vini pregiati etc..). Un trend in controtendenza rispetto agli altri mercati regolamentati (mercati finanziari, delle materie prime, delle valute) che avevano invece brillato nel 2019. Questa situazione, sommata alla estrema volatilità insita del mercato stesso, hanno determinano due conclusioni che amo rimarcare spesso: il mercato dell'arte non risente (ovvero non è correlato) all'andamento degli altri mercati e soprattutto… no, l'arte non è un bene rifugio, non avendo la caratteristica di mantenere il proprio rendimento pressoché costante nei momenti di grande trambusto (volatilità per essere più tecnici) dell'economia. Ma arriviamo a questo 2020. La pandemia in corso ha determinato radicali cambiamenti nel mondo dell'arte: le maggiori case d'asta sono state costrette a cancellare o posticipare i principali appuntamenti in calendario fin da marzo, ma avvisaglie che le cose stessero precipitando le avevamo già intuite dalle cancellazioni delle maggiori fiere che precedevano la stagione delle aste. Arriviamo allora a qualche "crudo" numero: nel solo primo semestre, il numero di aste live dedicate al comparto della pittura che hanno superato il milione di dollari da Christie's, Sotheby's e Phillips, si è ridotto del 64,9 % rispetto allo stesso periodo del 2019, con un conseguente e deciso crollo del fatturato complessivo (72,1 %). Citerò alcuni numeri del rapporto "Fotografia del settore Art&Finance ai tempi del Covid", che ho avuto l'onore di scrivere e presentare all'interno degli studi di Art&Finance di Deloitte private.


"La pandemia in corso ha determinato radicali cambiamenti nel mondo dell'arte: le maggiori case d'asta sono state costrette a cancellare o posticipare i principali appuntamenti in calendario fin da marzo, ma avvisaglie che le cose stessero precipitando le avevamo già intuite dalle cancellazioni delle maggiori fiere che precedevano la stagione delle aste".

Ma torniamo a noi. Come allora reagire di fronte a questa ecatombe di fatturato? Il ricorso alle aste online e il lancio delle nuove aste cross category sono stati due validi tentativi di arginare lo tsunami in atto. Ma questo è stato, probabilmente, il solo risultato più evidente agli occhi di tutti. In verità c'è stato anche un massiccio restyling dei modelli organizzativi, con accorpamenti di alcuni dipartimenti e una grande flessibilità nella calendarizzazione, del modello di offerta, con il massiccio ricorso al digitale come necessità per sopravvivere e del modello di collaborazione, con importanti sinergie ed investimenti soprattutto con operatori asiatici.

Questa rivoluzione adottata dalle 3 majors, ma seguita poi in parte anche da altri molti operatori più piccoli sta determinando delle inevitabili conseguenze. La prima e di certo più evidente è la caduta (verticale) del lotto medio: se nel 2019 il lotto medio delle aste principali delle 3 majors era di 866 k $ circa, nel 2020 (per lo stesso campione analizzato) è crollato a 135 k $ per le aste live (fisiche + online) e 13 k $ per quelle nella sola versione on line.

Un tracollo. Percepibile anche nel confronto dei primi 5 top lot, che dal 2019 al 1° semestre 2020 passa da un prezzo medio di 80,9 milioni di $ a 45,2 milioni di $. Una considerazione è allora forse opportuna: questi tribolati primi 6 mesi dell'anno ci hanno insegnato che non è solo una questione di minor qualità che arriva sul mercato, ma è soprattutto la mancanza di poter vivere dal vivo l'opera (e quindi determinare il suo valore) a bloccare il mercato.

Sarò ancora più esplicito: le opere d'arte vanno viste dal vivo, gli acquirenti sono condizionati, in fase d'acquisto, proprio dalla visione diretta dei dettagli e dalla percezione delle qualità esperienziali di un'opera d'arte, che difficilmente possono essere colte attraverso uno schermo. E lo stesso vale per le fiere d'arte più importanti a livello internazionale e capaci di richiamare la platea di collezionisti più influenti a livello globale: difficilmente, senza contatti diretti e ravvicinati con l'opera e con gli altri collezionisti, si possono creare quegli elementi di euforia che vengono poi consacrati in un battuta d'asta dal vivo e che fanno leva non solo sulla qualità dell'opera, ma anche sul livello di desiderio e di competizione che si scatena tra collezionisti in sala.

Non sono mancate "le trovate di marketing" per sostenere il mercato, anche se andiamo leggermente fuori perimetro di osservazione dal solo 1° semestre 2020. La vendita del Tyrannosaurus Rex South Dakota, battuto nell'asta di arte contemporanea di Christie's di inizio ottobre per 31,9 mln di $, ci ha ricordato i fasti di un mercato che nel solo 2017 (tre anni fa che sembrano un secolo fa) applaudiva meravigliato o forse sbigottito l'aggiudicazione sempre in una asta di arte contemporanea e sempre da Christie's di un dipinto di Leonardo (Salvator Mundi). Che poi fosse (o sia) il vero Salvator Mundi è una sorpresa di questi giorni. Tornando al dinosauro di prima, in assenza di artisti visionari che sappiano interpretare il momento di stravolgimento in atto, il mercato ha bisogno di sognare di tornare dove è già saputo essere.


"Le opere d'arte vanno viste dal vivo, gli acquirenti sono condizionati, in fase d'acquisto, proprio dalla visione diretta dei dettagli e dalla percezione delle qualità esperienziali di un'opera d'arte, che difficilmente possono essere colte attraverso uno schermo".

Già… ma ci torneremo mai lì? È anche una domanda che in molti mi fanno. Ho la fortuna di studiare da vicino due mercati, uno (quello finanziario) perché è il mio lavoro, l'altro (quello dell'arte) perché è la mia passione, 2 mercati che seppur non correlati, come detto prima, determinano le stesse identiche emozioni nelle persone che li frequentano: gioia, esaltazione, sorpresa, preoccupazione, scoramento, disperazione, rassegnazione, incredulità, e poi ancora gioia, esaltazione, sorpresa e così via in un loop eterno. La sequenza dei termini che ho utilizzato non è causale: ad ogni investimento che comincia a dare i suoi frutti c'è prima gioia, poi, più cresce il valore c'è esaltazione, poi quando comincia ad andare giù c'è sorpresa e quando infine va sempre più giù c'è preoccupazione, scoramento, rassegnazione, fino a poi ripartire con la incredulità del rimbalzo, quando tutto ormai sembrava perso.

È la storia dei mercati. Finanziari o no. Succederà di certo anche a quello dell'arte. Con un piccolo caveat da segnalare tuttavia. A differenza di tutti gli altri mercati regolamentati, quello dell'arte si affida molto, soprattutto negli ultimi anni, all'uso delle garanzie. Ma la garanzia è uno strumento del mercato. Quando la garanzia diventa "il mercato" vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Se la soluzione a cui voglio arrivare non è così immediata, basterebbe aprire un libro di teoria dei mercati per vedere cosa sia già successo nel passato in tutti i mercati in cui uno strumento di mercato si è sostituito al mercato. In fondo, finanza e arte, seppur così diversi, sono molto simili, almeno nelle emozioni che sanno suscitare…


Per chi volesse approfondire l'argomento, contattarmi per confrontarsi o semplicemente scaricare il Report completo, ecco qui il link: https://nuvolemercati.it/wp-content/uploads/2020/11/201105_ArtFinance-pulse.pdf e i miei contatti Pripa@fideuram.it.


Note biografiche del Dott. Pietro Ripa

Laureato con lode in Economia e alunno dell'Almo Collegio Borromeo, ha studiato e lavorato per alcuni anni all'estero. Master in "Contabilità e Finanza", esperto di consulenza finanziaria e gestione del portafoglio, è stato responsabile nell'area dei mercati finanziari in alcuni dei principali gruppi bancari italiani e internazionali. Docente nel Master post laurea in "Economia e gestione dei Beni culturali" del Sole 24 ore e Membro dell'Advisory Board del Master in "Gestione Innovativa dell'Arte", Pavia, è cultore della materia all'Università di Pavia, è autore di numerosi studi di economia e finanza dell'arte, tra cui il Rapporto "Il mercato dell'arte e dei beni da collezione" edizione 2016, 2017, 2018, 2019, 2020 edito da Deloitte. Ѐ stato insignito della Medaglia Laurenziana per la divulgazione di contenuti tematici innovativi a livello nazionale e vincitore del Premio Spoleto Festival Art 2016.


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